DOPO LA PROVA
di Ingmar Bergman
Ugo Pagliai e Manuela Kustermann
Un progetto di Daniele Salvo
Disponibilità stagione invernale 2019/20
In un tempo sospeso, nella penombra di un vecchio
palcoscenico, Henrik Vogler, grande regista e direttore
di teatro, è seduto su una poltrona, immobile.
Appare quasi imbalsamato.
Ha 109 anni o forse solo sessantadue.
La scena è ingombra di oggetti, attrezzature sceniche, quinte , attrezzeria, rimasti dopo una prova pomeridiana de “Il sogno” di Strindberg. Ora però il regista è rimasto solo, assorto nelle sue riflessioni sul senso del suo stesso lavoro, sulle scelte fatte, sugli errori compiuti, sul tempo della propria esistenza e sulle aspettative per il futuro. L'edificio è completamente deserto. Il sipario è alzato sino a metà.
D'improvviso appare sulla scena Anna Egerman, giovane attrice interprete della Figlia di Indra nella pièce diretta da Vogler. Da questo momento inizia un confronto serrato tra i due che, sospesi in una zona di confine, in una sorta di limbo extra-quotidiano in cui tutto è concesso, si permettono finalmente di dire la verità. Le loro ansie, le loro paure, i loro desideri, i loro affanni e le loro vanità di piccoli esseri umani vengono alla luce con chiarezza, affiorano dalla loro piccola stanza dell'immaginario e prendono corpo con violenza. E' quasi un percorso psicanalitico, un raggio di luce in una stanza buia da anni, un momento di verità in un'esistenza di finzione.
Vogler si muove nel torrente del tempo con disinvoltura e leggerezza, analizzando il sentimento dell'amore, della gelosia, dell'attrazione, del gioco teatrale, senza retorica e con semplicità disarmante.
L'ingresso sulla scena di Rakel, attrice di mezza età, introduce altri temi bergmaniani di straordinaria
pregnanza: la percezione del tempo, la paura della vecchiaia, la straordinaria fragilità dell'animo femminile che si risolve in patologia pura, in ansia da prestazione, in senso di inadeguatezza e nevrosi. Quella di Rakel è una figura che si muove sul filo del rasoio, un'artista distrutta dal suo stesso talento, una scorticata viva.
In “Dopo la prova” Bergman non crea nemmeno più
“personaggi”, ma linguaggi, funzioni emotive,
“contenitori” di fragilità, ansie e paure,
donne e uomini reali che non riescono più a convivere
con le menzogne, con i compromessi della vita
borghese, vecchi-bambini che rischiano la vita, perdono
l'equilibrio e cadono a terra in preda ad un ossessivo
bisogno di verità, di un senso possibile, di un segno, un
gesto, un respiro che dia un significato alle loro piccole
vite.
Il teatro alla fine, resterà per sempre quella povera isola sospesa sul filo dell’orizzonte, luogo più reale del reale, ultimo rifugio non toccato dalla complessità della vita quotidiana, dall’arroganza della politica, dalla protervia degli intellettuali della corte, dalla compravendita delle cariche pubbliche, governato unicamente dal sogno e dall’illusione, un piccolo teatro in chiusura, sospeso nel nulla, sull’abisso.
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